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Intervista a Maurizio Romano, fondatore dell’azienda ReLegno

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Il vino ha riposato per mesi nel legno e nel legno torna a vivere, vestito nel migliore dei modi. Quante volte abbiamo trovato originale come regalo una cassa di legno, che impreziosisce il contenuto. Tanto che nel gergo comune è rimasto il modo di dire anche quando il contenitore in verità è di cartone: portami una cassa, ordino una cassa.

Mezzo di trasporto ancor prima che strumento di marketing, la cassa di legno oggi è sempre più un oggetto di design e con il tempo si è trasformata in complemento di arredo per cantine private, enoteche, ristoranti. «Insomma diventano altro – osserva Maurizio Romano di Re Legno, azienda dell’Avellinese – E per quello che ci riguarda si tratta di uno strumento ecocompatibile, riutilizzabile dopo il primo impiego e prodotto con legni provenienti da foreste certificate e con ausilio di energie rinnovabili», aggiunge.

Tanto più che oggi il turismo legato al vino è un settore ancora in crescita ed è assai sensibile ai temi della compatibilità ambientale. Stile che vola alto Così in particolare la richiesta di casse di legno per il trasporto aereo che evitino, una volta imbarcate, la rottura e il danneggiamento conseguente di tutto quanto si ha a bordo, ha notevoli influenze sul fatturato del settore. Ma soprattutto, per la sua originalità, la cassa di legno da vino è il contenitore più utilizzato durante le feste natalizie, tanto che la produzione e la vendita presentano in questo periodo straordinari picchi. Ne dà conferma Massimiliano Stefanelli, che da 26 anni produce casse da vino nel suo laboratorio di Magione, in Umbria. Ha vissuto tanti periodi di crisi e altrettanti exploit del mondo del vino e ora fa parte di quel ristretto numero di produttori nazionali, non più di una dozzina, che riforniscono il mercato interno, concentrati intorno alle maggiori aree vitivinicole. In effetti le casse da vino di legno non sono un prodotto che si presta al trasporta da vuoto, essendo particolarmente volumi- ottobre 2015 125 nose e con un valore unitario relativamente basso. In questo modo se è vero che si è parzialmente salvaguardato il mercato dagli attacchi commerciali dell’estremo oriente, è altrettanto vero che non pochi hanno fatto le valigie per investire in Bulgaria o in Romania.

Stefanelli ci confida che in questi casi le casse da vino sono ancora abbastanza riconoscibili dalla scarsa levigatura degli angoli, dalle giunzioni grezze e talvolta dalle chiusure ossidate. Imperfezioni che di conseguenza fanno perdere prestigio anche al contenuto. Spesso peraltro i clienti, ovvero le aziende vitivinicole, pongono come condizione personalizzazioni che richiedono un alto contenuto di artigianalità, difficile da trovare fuori dal nostro Paese. Finiture, minuterie applicate, misure e allestimenti interni diventano così il terreno di scontro per una concorrenza che solo falegnamerie altamente specializzate riescono a offrire. Oggetti da collezione In questa prospettiva molto più datata è l’attività di Giulio Turani di Telgate, nel Bergamasco, che iniziò negli anni Quaranta la produzione di astucci in legno per i pennini e i compassi per la scuola e le attività tecniche. «La materia prima che si usa è però rimasta sostanzialmente la stessa: fogli di pino o abete, malgrado la coscienza ecologica di questi anni abbia spinto qualcuno a inserire multistrati di betulla», dice.

Marginale è l’utilizzo infatti di legni di frassino, faggio o castagno. Se all’inizio fu il bisogno della scuola a sollecitare l’attività di alta falegnameria dei Turani, negli anni Sessanta divenne la richiesta dei locali produttori di vino a spingere verso la produzione di casse da vino, come già avveniva nello Champagne. «In verità solo negli anni Ottanta e ancor più nel decennio successivo la cassa di legno diventa strumento di accompagnamento e valorizzazione del contenuto grazie a numerosi elementi di personalizzazione e innumerevoli abbellimenti di rifinitura – ci racconta Turani – Tanto che oggi non è più un imballo a perdere o da utilizzare per attizzare il caminetto, ma è sempre più un oggetto da collezionisti», conclude.

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